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9 dicembre 2001-Mundial de Snipe

Punta del Este, 24 novembre - 1 dicembre 2001


Al di là di quelli che possono essere stati i problemi di ogni singolo equipaggio italiano (velocità, tattica, strategia, approccio mentale) e di quali possano essere le ricette per superarli, leggendo la classifica del Mundial de Snipe, ci si accorge immediatamente del dominio della scuola sudamericana. Mentre gli Statunitensi si sono “difesi”, piazzando Hardesty al quinto posto, bisogna scendere al quindicesimo posto per trovare i primi Europei, i Russi Semerahanou – Sapronou. Terzi fra gli Europei e diciannovesimi assoluti i nostri Solerio.

Perché Brasiliani, Argentini, Uruguaiani, Cubani sono così forti? C’è un qualche segreto?

Prima di partire ci era stato chiesto di carpire l’arte di questi maestri e poi raccontare con dovizia di particolari, quanto appreso: impresa velleitaria perché la maggior parte di noi non aveva la possibilità di vedere costoro che per brevi scampoli di regata.

Probabilmente la loro superiorità è tale che avrebbero prevalso su qualsiasi altro campo di regata, anche più semplice, anche per loro sconosciuto.

Il campo di regata fin dalla primissima uscita ci è sembrato piuttosto difficile da interpretare. Soltanto spostandosi dal circolo al campo di regata, posto nella Baia di Maldonado tra Punta Balena e l’Isla Gorriti, ci si poteva rendere conto dei numerosi buchi di vento, delle raffiche, dei salti di vento, della corrente, ed in generale dell’influenza della costa (alti grattacieli) e del “cono” creato dall’isola suddetta. Poteva succedere che, intenti a provare la velocità con qualche Americano, qualche Argentino, qualche Cubano, e costretti a virare perché ormai coperti dalle loro vele, dopo esserci allungati per qualche istante sulle mure opposte, alla successiva virata ci trovassimo avanti.

Il vento doveva essere interpretato in modo diverso da come siamo soliti fare in Italia, dove si entra ben bene nello scarso e poi si vira nel buono, alzandosi ogni tanto “a scaletta”, per ragioni tattiche o quando c’è un’oscillazione più pronunciata. In sostanza, la rotazione viene considerata "persistente". A Punta del Este, per quanto ho capito – i dubbi e le perplessità rimangono - il vento arrivava a raffiche sparpagliate e da direzione diversa: il vento doveva essere inteso come oscillante e ci si doveva sempre trovare sul bordo in buono. Giorgio Brezich, acuto osservatore delle regate del mondiale ed espertissimo regatante, mi ha suggerito di regatare come con la bora. Il problema era che le raffiche e la direzione delle stesse non si vedevano come nel Golfo di Trieste. Le onde e la corrente non consentivano di “leggere sull’acqua”.

La difficoltà di una competizione – si dice – dipende dalla bravura dei partecipanti: ebbene succedeva che venti o più barche virassero nello stesso istante, cioè nell’attimo in cui si doveva necessariamente virare. Se si ritardava di un momento la virata, ci si trovava obbligati o a navigare per un tempo intollerabile nei rifiuti delle barche che correttamente avevano già virato, o si doveva passare a poppa delle stesse navigando per un tempo altrettanto intollerabile nello scarso. Perdere l’attimo significava sentirsi – rubo il paragone a Beducci – come un pugile suonato messo alle corde.

Altra complicazione era data dai buchi di vento sempre più probabili e diffusi nell’avvicinarsi alla boa di bolina, posta quasi sempre nelle vicinanze della famigerata Isla Gorriti. Tale isola oltre che creare sottovento un cono di vento perturbato, deviava il vento attorno a sé, tanto che, oltre che seguire le oscillazioni, bisognava prestare attenzione a rimanere nelle fascie di vento di destra o sinistra. Inoltre, in qualche bolina, specialmente alla fine della giornata, quando il vento calava, la strategia in parte subiva delle varianti: non più virate sulle oscillazioni, ma bordeggio ad allungarsi verso una delle estremità, per prendere il vento che aggirava l’isola. In qualche caso è stato premiato il lato destro, in qualche altro il lato sinistro.

Ad arricchire il complesso cocktail la corrente, sempre presente in forza ed addirittura inimmaginabile l’ultimo giorno, quando la boa di bolina, invece che essere posta sottovento a Gorriti, è stata piazzata in un vero e proprio fiume.

Per finire l’onda: qualche giorno bella lunga atlantica, qualche altro “quadra”, di quelle che non solo ti rallentano, ma che se non stai attento, ti ricacciano indietro. In generale c’era più onda che vento. In queste condizioni i Sudamericani danno il meglio nella conduzione delle barca. Forse non c’è un segreto, semplicemente, sono più abituati, si muovono meglio con il corpo, con naturalezza, hanno più esperienza. Noé ha dimostrato abilità ed esperienza: nell’ultima bolina della prima prova ha superato il giovane ed “inesperto”, anche se uruguagio Silveira; mentre quest’ultimo virava per coprire, Noé virava sull’onda e guadagnava metro su metro. Una bella lezione tra Sudamericani. Una notazione sull'attrezzatura: la notoria mancanza – non generalizzata tuttavia - dello strozzatore della scotta della randa sulla torretta dipende dalla necessità di lascare la scotta, quando, sulla cresta dell’onda o sotto raffica, la semplice “schienata” non è più sufficiente; in tali casi, lo strozzatore è inutile ed anche d’impaccio.

Per rispondere, infine, alle domande che ci eravamo poste all'inizio, si può affermare che il motivo di un tale strapotere dipende essenzialmente dalla considerazione nella quale è tenuto lo snipe nell'America latina. Dopo l’optimist, si passa allo snipe. Chi è forte sullo snipe potrà passare in un secondo tempo alle classi olimpiche, in genere poco diffuse e costose. Regatare in una classe assai numerosa migliora l’abilità nel cavarsi d’impaccio da situazioni caotiche (giri di boe, partenze). Il ragazzino si confronta subito con regatanti più esperti, cresce, migliora e garantisce un sicuro ricambio generazionale. Si regata in oceano, o in acque limacciose, nei fiumi con poco fondale, dove si alza una onda difficile, dove c’è molta corrente, o dove se scuffi pianti l’albero sil fondo; si regata in condizioni critiche soprattutto per una barca come lo snipe, ma proprio per questo motivo si acquista sensibilità e padronanza del mezzo e si diventa, in definitiva, buoni regatanti.

Tutto l’opposto delle condizioni ritenute “ideali”: sole, caldo da costume da bagno, mare limpido leggermente increspato, vento che ci fa stare comodamente seduti sul bordo, una tranquilla partenza senza avere nessuno sottovento che orza, un giro di boa indisturbato...

http://www.nautica.com.uy/snipe

L'Italia al Mondiale