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Il mio Mundial

di Luigi Beducci
Buenos Aires, 4 dicembre 2001

Carissimi,
ora ve lo spiego un po’, il Campionato del Mondo!
Premetto che sono in un albergo di Buenos Aires, di notte, mentre il bulicciame Italico sta viaggiando compatto verso casa.
Ieri sera, un po’ alla spicciolata, ci siamo lasciati e io mi fermo qui per lavorare ancora qualche giorno.

Dunque il Campionato, si diceva.
Bene, comincio da Punta del Este. Il posto è senza dubbio particolare, e eccezionalmente esposto: in pratica è una punta (chi l’avrebbe mai detto!?) larga alcune centinaia di metri e lunga un chilometro protesa verso sud – ovest che separa l’Oceano Atlantico dalla parte nord della foce del Rio de la Plata. Questa foce, come ognun sa, è la più larga del mondo (sono centinaia di chilometri, e di fronte c’è l’Argentina, più o meno all’altezza di Mar del Plata). E’ così larga che sembra mare, l’acqua è più o meno salata, e la corrente verso il mare è irrilevante (quasi sempre).
Accanto alla punta di Punta del Este, lato interno,  c’è  una bella isoletta circondata da fondali ignoti ma senz’altro irregolari e bassi.
Il colore dell’acqua è circa marrone, la visibilità sott’acqua è meno di dieci centimetri.
Punta del Este è costituita da strade più o meno ortogonali fra loro e pavimentate a cemento, separate da una selva di palazzi sui venti – venticinque piani.
Per esempio “Casa Italia” era un grattacelino di 23 piani chiamato “Torre Verona”. Noi occupavamo metà piano 20° e metà piano 16°.
Bello, niente da dire, dalla mia camera vedevo il lato interno della punta, dove c’è lo Yacht Club e il porto, e la parte esterna dove ci sono li spiaggioni oceanici.
Nell’acqua  della foce vive una nutrita colonia di leoni marini, che sono grandi, docili e mansueti, e si spingono spesso fino alle banchine del porto per raccattare dai pescatori un po’ di cibo. Al leone marino è stato pure eretto un monumento in paese.
La stagione è laggiù ancora un po’ acerba, una specie di fine aprile da noi (diciamo in sardegna) con sole spesso forte, ma aria e terra ancora fredde. Quindi irraggiamento più che tiepido, ma alclar delle tenebre, freddo da felpa.
Delle famosissime bellezze al bagno locali, neppure l’ombra, ovviamente. Arriveranno tutte la settimana prossima, confermando che lo Snipista porta con se anche un incrollabile diffidenza verso altri piaceri che non siano quelli propri della regata, riuscendo, perfino a Punta del Este  a rimanere completamente e unicamente legato al gioco delle regate.
Già, le regate: allora, si regata all’interno della foce, tra l’isola e la costa, con il vento che arriva da qualunque parte, specialmente dai grattacieli. Allegria!

Noi quattro equipaggi eravamo piuttosto agguerriti, prima delle regate, e anche un bel po’ orgogliosi di essere accanto ai nomi celebri che leggete nella classifica. Francamente , e parlo a titolo assolutamente personale, eravamo anche un pelino intimoriti dal tintinnar di medaglie olimpiche e mondiali che si sentiva rimbalzare da ogni lato.

Finalmente la regata di prova ci conferma che c’è gente con un livello superiore e una grinta degna di Pecos Bill. Pensate che in quella regata (di prova!) abbiamo avuto 3 o 4 richiami generali.

Una caratteristica della linea di partenza era la sua lunghezza, abbondante e direi a occhio, perfino troppo lunga per 61 barche. E invece mai, dico mai, c’era un buchino anche piccolino per infilare casualmente il nostro Snipino. Tutte le partenze (ne abbiamo fatte 3 o 4 per ogni regata, totale più di 20) andavano “costruite” almeno a 90 secondi dal via, pena la seconda fila (o la terza) garantita.

Il vento, come dicevo prima, fa un po’ il capriccioso e abbiamo avuto venti da 3 a 6-7 m/s (più verso i 3, comunque). La direzione è stata sempre un bel terno al lotto con oscillazioni di 20 gradi di qua e di là, che, di nuovo parlo a titolo personale, ci hanno a volte imbarazzato parecchio.

Dicevo la regata di prova. Solario grande malato (aveva la febbre) e siccome non si cura se non con la forza del pensiero non guariva. Noi a tentarlo con la Tachipirina, lui a reagire con riso integrale soffiato a mano da esperti e purissimi artigiani alimentari del ponente ligure. Insomma, non fa la regata.
La regata di prova, come sapete, è la fiera della falsità. Serve a mettere gli animi tranquilli e a trovare mille giustificazioni a tutto. Nonché a creare false chimere.
Miki e Gianpaolo vanno benissimo, tipo nei dieci e tornano a casa come Giulio Cesare dalle Gallie.
Belloni ed io arranchiamo un po’ all’inizio ma poi ci sembra di recuperare fortissimo verso la fine (aiutati anche dal fatto che un sacco di barche se ne tornano a casina prima della fine), Fantoni e Pontonutti arrancano fino alla fine e dicono di non camminare per niente.

Gli Spagnoli li abbiamo visti per trenta secondi in partenza, i Cubani venti secondi, gli Argentini dieci secondi e non ricordo di avere neppure visto un Brasiliano. Erano già avantissimo, prima che io riuscissi a capire chi erano.

Va beh, insomma, la prova è la prova abbiamo capito.

Facciamo le preghierine della sera e coi avviciniamo al gran giorno. Veniamo anche ascoltati, da lassù, infatti Franco Solerio si riprende e sia pure con la cautela del convalescente monta in barca per la prima regata.

Qui il racconto prosegue, per chi non si è già addormentato, con una visione più specificamente nostra (dico di Niccolò e mia) , giacchè non molto spesso ci siamo trovati a regalare con i nostri amici.
Alla fine della prima bolina del Campionato del Mondo ci trovavamo dalle parti del 20° posto, forse 25°. Alla boa di bolina mi sono attaccato con tutte le forze residue al cordino del tangone e l’ho tirato. Lui è venuto, il cordino, ma il tangone è rimasto lì dove stava: si è disfatta la gassa sul fiocco. L’avevo fatta io e si era sciolta. Cavolo! Una sola altra volta ci è capitato: all’Europeo dell’anno scorso. Ri-cavolo!
Allora ho dovuto, per punizione fare un legaccio volante al fiocco e tenere a mano, da posizione eretta, il tangone per due laschi e una poppa. Mi fanno ancora male adesso, le braccia!
Comunque con questa scusa ci sorpassano quasi tutti, compresi Miki e Giampaolo, Pietro e Gianvittore nell’ordine.
Lottiamo affannosamente nelle boline ma non mi sembra che caviamo il ragno dal buco, tanto che finiamo oltre il 50° posto.
Ma, e questo è il più tragicomico, con la convinzione che il posto che la Storia ci ha assegnato nella realtà sta tra il 20° e il 30° . Domani la gassa la farà Niccolò, non si scioglierà, e quindi staremo dove dobbiamo strare.
Intanto i Solerio stanno avanti e anche gli altri due, sia pure meno brillanti, qualcosa combinano.

Seconda e terza regata.
Qui capiamo tutto. Il vento va  e viene e gironzola per il campo secondo una logica misteriosa.
I sudamericani si scatenano coma pazzi ed è un piacere vederli andare. A me ha fatto impressione come  all’arrivo di un accenno di scarso (roba davvero di due gradi, forse meno) in due secondi due tutte le prime 20 barche virassero. Non è un racconto romanzato. Giuro che è proprio così. Da noi abbiamo l’abitudine a “entrare” nello scarso e poi dopo un’occhiatina in giro, virare. Quaggiù no.
Naturalmente ci sono ragioni comprensibili per tale differenza, ma è comunque impressionante. Non vi dico di poppa!
Noi ci sentiamo proprio dei pugili suonati, per tutto: partenze, velocità, tattica e manovre (manca niente?). E infatti cominciamo a riconoscere i compagni di sventura dei bassifondi della classifica: un Paraguagio con barca PAR 22272, acquistata probabilmente dal nonno, un Finlandese con la riga blu e con ragazza a prua, un padre e figlio Svedesi, chiamati Ravizza (ma non posso qui spiegarvi perché) , e anche Fantoni Pontonutti che sono lì lì con noi, due Colombiani…
Insomma il Gotha della vela sta da un’altra parte, vicino a dove stanno i Solerio sebbene ancora nettamente più avanti ancora.
Fra i due gruppi c’è il grosso della flotta che occasionalmente accoglie anche qualche campionissimo che a sprazzi incrociamo pure noi:  Iansen con fidanzata nuovissima che farà la maturità quest’anno penso, Iversen, con la solita fidanzata simpatica,  qualche Americano (uno che sembrava Buddy Melges ma non era lui, l’ho guardato bene).
Insomma, sembra vada un pochino meglio, ma chiudiamo ben oltre il quarantesimo posto.
E’ il solito discorso, se parti bene e sei un razzo, e vai dalla parte giusta senza sbagliare niente può darsi che tieni la posizione. Se ti ingarbugli un attimo ti passano decine di barche in un battibaleno.
Comunque fra noi quattro la gerarchia appare chiara:
i Solerio vanno e sono fra i bravi Europei, cioè gli immediati rincalzi dei fortissimi. Sono autorevoli nelle partenze e si impegnano cercando e riuscendo a “fare la propria regata”.
Miki e Giampaolo stanno un bel pezzo sotto ma hanno sprazzi di lucidità e qualche soddisfazione se non proprio dal risultato finale, almeno da qualche lato “glorioso”.

Ma noi e i due Udinesi brancoliamo un po’ nella nebbia.
Il terzo giorno in una prova noi giriamo ultimi (sic!) una boa dopo essere stati convinti che non era poi malissimo. Nella stessa prova Miki e Spera a un certo punto sembravano primi o secondi in prima bolina. Poi su uno scarsino di quelli che dicevo prima (un grado e mezzo)  li hanno passati in 25. Il tutto è durato dieci secondi, non di più. Per me è stato come vedere un povero pesce piccolo inghiottito, con uno scatto, da un pesce grosso.
Nell’altra regata Fantoni e Ponto stavano bene (circa 10°) sulla lay line di sinistra. Ma quando si è trattato di chiedere permesso per entrare in boa, hanno atteso un quarto d’ora e il sogno è svanito.

Non vi so dire, naturalmente, cosa succedeva in testa, poiché noi non ne sapevamo niente e spesso anche a terra i racconti erano laconici e per noi fonte di incontenibile invidia.

Alla fine l’ultimo giorno con vento leggero e corrente come  nello stretto di Messina, una cosa paurosa. Vi risparmio òla penosa descrizione dell’arrancare di noi tre, per una volta vicini verso la boa di bolina che si allontanava invece di avvicinarsi, causa corrente…
Insomma, alla fine gli Udinesi passano e spariscono veloci verso le boe di poppa (ah, sì, si usava il cancello, nelle poppe),  Miki e Paolo ci mettono ancora dieci minuti e noi altri dieci. Seguiti da pochissime barche. Una tristezza. Risultato: una ventina di barche, tra cui noi tre, fuori tempo massimo. Una cosa da piangere.
Mentre zitti zitti i Solerio risalgono e finiscono fra i primi dieci. Noi onestamente ci guardiamo e pensiamo che siano decisamente superiori. Del resto hanno vinto bene il nostro campionato, no? Non sarà mica stato per caso!?

Ultima prova. Proviamo a osare, tanto domani si va a casa…
Richiami generali come se piovesse, con bandiera Z. Vengono pescati fuori anche Miki e i Solerio che si lamentano un po’ ma invano.
Noi facciamo la regata della vita e giriamo quinti (oh, ragazz,i fino a due ore prima giravamo cinquantacinquesimi!!!) , ma non solo, teniamo anche abbastanza la posizione e nei laschi non ci passa nessuno (miracolo?).
Adesso non ve la faccio lunga ma insomma, fra penalità e arrivi in acqua, la nostra posizione finale di quella regata è 7°.
Io lo racconterò ai nipotini perché vi assicuro che tenere quella gente lì senza farsi superare da 30 barche è un’impresa di velocità e tattica non facile, almeno per noi.
Plauso grandissimo ai Solerio che, se non fosse stato per la penalità in partenza avrebbero finito quinti!
Miki non poteva migliorare la sua posizione in classifica generale e si ritira, mentre Pietro e Ponto arrivano più o meno nelle solite posizioni.

Cosa ho imparato da questo mondiale.
Primo: anche se le regate sono a Rio de Janeiro, le faranno nel periodo della clausura o quando nevica.
Secondo: tutte le storie sulla velocità sono vere ma noi, accanto ai forti del mondo, con ondina dura in prua e aria molto irregolare e non forte, cioè in condizioni teoricamente difficili, visto il peso, non abbiamo patito di velocità. Forse un po’ nella poppa, ma forse…
Quindi vale davvero il fatto di partire bene e andare dalla parte giusta cercando l’aria libera.
Terzo: i forti sono battibili magari non regolarmente, ma ogni tanto sì. Solo, non bisogna avere troppo timore reverenziale. Guardare e imparare. Ma tentare di dire la propria.
Quarto: secondo voi tra noi quattro equipaggi Italiani chi si è allenato di più? Ve lo dico io: i Solerio!  Ma guarda! Quindi senza dubbio più di tutto conta il numero di ore da dedicare allo Snipe.
Quinto: voglio farne un altro.

Spero di non avervi annoiato con queste noterelle non tecniche. L’inverno dilaga e avremo lunghe serate accanto al caminetto per parlare di ogni minimo dettaglio e di Paradeda, e dei Noè e dei Cubani.

Nel frattempo torniamo a casa se non altro un po’ abbronzati, e con la sicurezza che, per fortuna, sullo Snipe abbiamo ancora parecchio da imparare.
Naturalmente, anche qui, parlo solo per me.

Saluti e baci a tutti.

Luigi Beducci